Cyberbullismo e bullismo : Rivista QdF

cyberbullismo-e-bullismo-rivista-qdf

Cyberbullismo e bullismo : Rivista QdF

Rivista QdF – Questioni di Diritto di famiglia – Novembre 2014

QdF – Una rivista mensile di approfondimento dedicata al diritto di famiglia,dal quale estrapoliamo gli articoli redatti dal nostro staff di professionisti.

In questo numero : Dottrina

• Cyberbullismo – Chiara Reposo

• Bullismo: profili di diritto comparato – Chiara Reposo – Francesco Reposo

 

Cyberbullismo – Chiara Reposo

Il cyberbullismo o ciberbullismo (ossia «bullismo online») è il termine che indica un tipo di attacco continuo, ripetuto e sistematico attuato mediante la rete. Il termine cyberbullying è stato coniato dall’educatore canadese Bill Belsey: i giuristi anglosassoni distinguono di solito tra il cyberbullying (cyberbullismo), che avviene tra minorenni, e il cyberharassment (“cybermolestia”) che avviene tra adulti o tra un adulto e un minorenne. Tuttavia nell’uso corrente cyberbullying viene utilizzato indifferentemente per entrambi. Cyberbullismo è un neologismo ormai entrato nel linguaggio quotidiano, identifica il fenomeno del bullismo elettronico che comprende, quindi, tutte le forme di prevaricazione poste in atto tra coetanei attraverso mail, sms, cellulari, chat, blog, social network o siti online. Secondo lo studioso Peter Smith, per cyberbullismo si intende “una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un mezzo elettronico, rivolta contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi”. (1) Il fenomeno del cyberbullismo (2) è decisamente più complesso di quello che si possa pensare. Innanzitutto i dati statistici disponibili non sono facili da leggere perché esistono differenze già nella definizione di cyberbullismo: a seconda dei casi si inseriscono nella categoria fin troppi comportamenti fra i quali discussioni online con linguaggio volgare e aggressivo, molestie, insulti, denigrazioni, commenti crudeli, diffamazione, esclusione da gruppi e comunità online, sostituzione di identità, fingersi qualcuno per mettere in difficoltà l’altro e, infine, ingannare al fine di sottrarre informazioni, minacce, invio di immagini a sfondo sessuale.

Non tutti i rischi sono uguali, ci sono varie forme che vanno dal fastidioso al reato vero e proprio: il fenomeno è noto da tempo nella sua gravità tanto che la Commissione Europea ha istituito la giornata “Safer internet day”, nonché un tavolo apposito per la promozione di un utilizzo sicuro e responsabile dei nuovi media tra i più giovani, anche ai sensi della decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008. Nel caso del cyberbullismo gli aggressori sono generalmente ben conosciuti dalle vittime: invero, rispetto al bullismo nella vita reale, vi è un ulteriore aspetto collegato al mezzo, e cioè la depersonalizzazione dovuta alla distanza, vale a dire che il non avere di fronte la vittima non consente di percepire le sue reazioni inibendo possibili fenomeni empatici. Diversi studi evidenziano che il cyberbullismo, di cui esistono diverse forme e modalità, è altamente correlato al bullismo in ambito scolastico: spesso ne è una continuazione o addirittura una rappresaglia alle violenze subite tra i banchi. Diverse sono le modalità per mezzo delle quali i ragazzi raccontano di poter mettere in atto i comportamenti aggressivi una volta individuata la vittima: si rubano e-mail, profili, o messaggi privati per poi renderli pubblici (48%), si inviano sms/mms/e-mail aggressivi e minacciosi (52%, lo fanno soprattutto le femmine preadolescenti, la cui percentuale raggiunge il 61%), vengono appositamente creati gruppi «contro» su un social network per prendere di mira qualcuno (57%), o ancora vengono diffuse foto e immagini denigratorie o intime senza il consenso della vittima (59%, con picchi del 68% nel Nord-Est), o notizie false sul soggetto da colpire (58%). La modalità d’attacco preferita dai giovani cyberbulli è la persecuzione della vittima attraverso il suo profilo su un social network (61%): di solito viene messa in atto la dinamica del «branco» per cui uno comincia e gli altri convergono con i loro contributi, convinti peraltro di mantenere l’anonimato attraverso i nicknames a cui si aggiunge il furto di identità digitale compiuto da ragazzi a danno di altri ragazzi.

Il direttore nazionale della Polizia postale ha evidenziato che nei ragazzi manca completamente la consapevolezza degli atti compiuti, anche in virtù della facilità di accesso e di utilizzo della rete, che rende anomini e, quindi, apparentemente non perseguibili, richiamando l’attenzione sull’abitudine, diffusa, di mettere in rete immagini relative alla sfera intima, in tempo reale, senza percepire rischi e i pericoli della pedopornografia online. Demonizzare Internet è l’errore che spesso si fa nell’approcciarsi al fenomeno, anche se va ribadito che eliminare quelle “immagini”inappropriate risulta, nel concreto, essere impresa assai ardua. La Polizia postale dispone di una serie di strumenti tecnici per contrastare il fenomeno, così come le società multinazionali che gestiscono i maggiori social network: è allo studio un dispositivo chiamato «bottone rosso», da usare per bloccare la diffusione di immagini o post. L’Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyberbullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali (Diritti del minore). Giova ricordare anzitutto il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include (tra le sue undici azioni) il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto al cyber-bullismo (oltreché all’esposizione a contenuti dannosi e ad altri rischi connessi alla navigazione su internet), in particolare attraverso il programma “Safer Internet” e mediante la cooperazione con l’industria attraverso iniziative di autoregolamentazione (2009- 2014).

Il Programma “Internet più sicuro” per il periodo 2009-2013, dotato di un bilancio complessivo di 55 milioni di euro, ha previsto tra le sue linee d’azione misure dirette alla lotta contro i contenuti illeciti ed i comportamenti dannosi: si tratta di azioni destinate a ridurre il volume dei contenuti illeciti in linea ed a combattere la distribuzione di materiale pedopornografico, le pratiche di bullismo on line e di manipolazione psicologica in linea per scopi sessuali (“grooming”). Il programma mette a disposizione del pubblico alcuni punti di contatto accessibili a livello europeo per segnalare efficacemente tali abusi: è, inoltre, mirato alla lotta contro i comportamenti dannosi, prendendo in esame gli aspetti psicologici e sociologici ma privilegiando l’applicazione di soluzioni tecniche ed, infine, promuove la cooperazione sul piano nazionale, comunitario ed internazionale, incoraggiando le parti interessate a condividere informazioni e migliori prassi. Questo strumento è complementare al programma europeo “Daphne III” 2007-2013 volto a prevenire e a combattere ogni forma di violenza, fisica, sessuale e psicologica, nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne – con una dotazione finanziaria complessiva di 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Un ambiente on line sicuro per i minori rientra anche tra gli obiettivi dell’Agenda digitale per l’Europa: si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 la “Strategia europea per un’internet migliore per i ragazzi” che prevede, tra l’altro, raccomandazioni (in particolare agli Stati membri e agli operatori del settore) volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti apparentemente dannosi per i ragazzi. In tale quadro deve richiamarsi l’autoregolamentazione europea nell’ambito della CEO Coalition (gruppo di 31 aziende hi tech, gestori di piattaforme informatiche, come ad esempio i social network, istituita grazie all’azione della Commissione europea, in particolare della Vicepresidente e Commissario per l’Agenda digitale, Neelie Kroes), che prevede, tra l’altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e di parental control, misure di rimozione dei contenuti.

Come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione del Codice civile, del Codice penale e, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, del Codice della Privacy (D.Lgs 196 del 2003). Oggi il 34% del bullismo è online, in chat, quest’ultimo viene definito cyberbullismo. Pur presentandosi in forma diversa, anche quello su internet è bullismo: far circolare delle foto spiacevoli o inviare mail contenenti materiale offensivo può costituire un danno psicologico. In Inghilterra, più di 1 ragazzo su 4, tra gli 11 e i 19, anni è stato minacciato da un bullo via e-mail o sms. In Italia, secondo l’Indagine Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza pubblicata nel 2011 (3) un quinto dei ragazzi ha trovato in Internet informazioni false sul proprio conto: “raramente” (12,9%), “qualche volta” (5,6%) o “spesso” (1,5%). Con minore frequenza si registrano casi di messaggi, foto o video dai contenuti offensivi e minacciosi, ricevuti “raramente”, “qualche volta” o “spesso” dal 4,3% del campione; analoga percentuale (4,7%) si registra anche per le situazioni di esclusione intenzionale da gruppi on-line.

Rispetto al bullismo tradizionale nella vita reale, l’uso dei mezzi elettronici conferisce al cyberbullismo alcune caratteristiche proprie:

Anonimato del molestatore: in realtà, questo anonimato è illusorio: ogni comunicazione elettronica lascia pur sempre delle tracce. Per la vittima, però, è difficile risalire da sola al proprio molestatore; inoltre, a fronte dell’anonimato del cyberbullo, spiacevoli cose sul conto della vittima (spesse volte descritta in modo manifesto, altre in modo solo apparentemente non rintracciabile) possono essere inoltrate ad un ampio numero di persone.

Difficile reperibilità: se il cyberbullismo avviene via SMS, messaggeria istantanea o mail, o in un forum online privato, ad esempio, è più difficile reperirlo e rimediarvi.

Indebolimento delle remore etiche: le due caratteristiche precedenti, abbinate con la possibilità di essere “un’altra persona” online (vedi i giochi di ruolo), possono indebolire le remore etiche: spesso la gente fa e dice online cose che non farebbe o direbbe nella vita reale.

Assenza di limiti spaziotemporali: mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici (ad esempio in contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo.

Come nel bullismo tradizionale, però, il prevaricatore vuole prendere di mira chi è ritenuto “diverso”, solitamente per aspetto estetico, timidezza, orientamento sessuale o politico, abbigliamento ritenuto non convenzionale e così via. Gli esiti di tali molestie sono, com’è possibile immaginarsi a fronte di tale stigma, l’erosione di qualsivoglia volontà di aggregazione ed il conseguente isolamento, implicando esso a sua volta danni psicologici non indifferenti, come la depressione o, nei casi peggiori, ideazioni e intenzioni suicidarie. Spesso i molestatori, soprattutto se giovani, non si rendono effettivamente conto di quanto ciò possa nuocere all’altrui persona.

Nancy Willard propone le seguenti categorie di cyberbullismo:

Flaming: messaggi online violenti e volgari (vedi “flame”) mirati a suscitare battaglie verbali in un forum.

Molestie (harassment): spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno.

Denigrazione: sparlare di qualcuno per danneggiare gratuitamente e con cattiveria la sua reputazione, via e-mail, messaggistica istantanea, gruppi su social network ecc.

Sostituzione di persona (“impersonation”): farsi passare per un’altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili.

Rivelazioni (exposure): pubblicare informazioni private e/o imbarazzanti su un’altra persona.

Inganno: (trickery) : ottenere la fiducia di qualcuno con l’inganno per poi pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici.

Esclusione: escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per provocare in essa un sentimento di emarginazione.

Cyber-persecuzione (“cyberstalking”) : molestie e denigrazioni ripetute e minacciose mirate a incutere paura.

Le minacce virtuali sono definite dagli psicologi statunitensi cyberharassement o cyberstalkings, e possiamo notare due aspetti che caratterizzano questo nuovo bullismo. Uno di questi è che esso non si manifesta in contatto diretto, faccia a faccia: il bullo non è una presenza fisica (anche se costante, per la vittima), ma un nickname. Ciò favorisce una mancanza di visibilità che Schneier – esperto in informatica e scrittore statunitense – definisce “lack face-toface contact”: il bullo elettronico approfitta di questa sorta di maschera virtuale. Sarà quindi molto più difficile rintracciarlo nella grande rete web. Il secondo aspetto del cyber bullismo è che esso non lascia pace a chi è preso di mira. Nemmeno tra le mura domestiche. Mentre i bulli della scuola non possono penetrare nella sicurezza di una dimora, il bullo elettronico trova terreno fertile anche in questa zona personale e intima della vittima, la quale ovviamente svilupperà ancora più insicurezza e fragilità. Invece, paradossalmente, è il cyber bullo a farsi più sicuro. Grazie all’anonimato garantito da Internet, si sente ancora meno responsabile delle azioni commesse a danno altrui. E’ per questo che il web, con le sue mille maschere e nickname, offre la possibilità di diventare “bulli per un giorno”, o a lungo, anche a coloro che di persona non avrebbero il coraggio di torcere un capello. Anche loro, infatti, possono avere una personalità piuttosto fragile, che resta spesso la base e il motivo del loro comportamento aggressivo: complici sarebbero diversi insuccessi, in campo amoroso, scolastico; oppure un disagio all’interno del nucleo familiare, e addirittura anche rinnovati atti di bullismo subiti da parte di persone più grandi. Rimane, purtroppo, la difficoltà nel rintracciare i cyber bulli da parte delle autorità, che nel frattempo possono solo consigliare, specialmente ai cybernauti più piccoli: “Non date mai informazioni come il vostro nome e cognome, indirizzo, nome della scuola o numero di telefono a persone conosciute su Internet. Non mandate mai vostre foto senza il permesso dei vostri genitori. Leggete le e-mail con i genitori, controllando con loro ogni allegato. Non fissate incontri con persone conosciute via Internet senza il permesso dei genitori.”. E l’ultimo e forse più prezioso consiglio è: “Dite subito ai vostri genitori o ai vostri insegnanti se leggete o vedete qualcosa su Internet che vi fa sentire a disagio o vi spaventa.”

Spesso si accusano i social network di essere un formidabile strumento di diffusione di insulti, anche a sfondo razzista, offese, immagini di cattivo gusto. Facebook Italia prova da oggi ad invertire la tendenza lanciando una piattaforma di prevenzione contro il cyberbullismo. L’iniziativa, promossa insieme a Save the Children Italia e al Telefono Azzurro, ha lo scopo di condividere informazioni e suggerimenti utili in casi di necessità: Facebook indirizzerà automaticamente ogni persona che segnalerà episodi di bullismo sulla piattaforma dove troverà consigli utili per affrontare questo fenomeno e sapere come comportarsi in questa specifica circostanza. “Fermiamo il bullismo. Presentazione di strumenti, suggerimenti e programmi per aiutare le persone a difendere se stesse e gli altri” si legge sull’home page della piattaforma. Molto importante anche leggere i consigli e le news pubblicate su Facebook Safety, la pagina del Centro per la sicurezza delle famiglie. Nell’ordinamento giuridico italiano manca un inquadramento normativo specifico in materia di bullismo e cyberbullismo. Tuttavia, tale vuoto normativo viene colmato ricorrendo alle fattispecie esistenti. I comportamenti posti in essere possono produrre conseguenze sia sul piano civilistico sia su quello penalistico. I reati che si possono configurare sono: percosse (art. 581 del codice penale), lesione personale (art. 582 del codice penale), ingiuria (art. 594 del codice penale), diffamazione (art. 595 del codice penale), violenza privata (art. 610 del codice penale), minaccia (art. 612 del codice penale), danneggiamento (art. 635 del codice penale). Se l’autore è un minore di età ricompresa tra i 14 e i 18 anni, si applicheranno le norme del processo penale minorile (ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 22 settembre 1988). Per il minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni, non essendo imputabile per l’ordinamento giuridico del nostro Paese (art. 97 del codice penale), possono essere adottate misure rieducative. E gli effetti sulle vite dei giovani sono devastanti poiché i 2/3 dei minori italiani riconoscono nel cyber bullismo la principale minaccia che aleggia in ogni luogo frequentato (scuola, campetti, locali, etc.). Si parla di compromissione del rendimento scolastico (38%, che sale al 43% nel nord-ovest), fuga dal gruppo (65%, con picchi del 70% nelle ragazzine tra i 12 e i 14 anni e al centro), e nei peggiori dei casi può comportare serie conseguenze psicologiche come la depressione (57%, percentuale che sale al 63% nelle ragazze tra i 15 e i 17 anni, mentre si abbassa al 51% nel nord-est).

“Più pericoloso tra le minacce” tangibili della nostra era per il 72% dei ragazzi intervistati (percentuale che sale all’85% per i maschi tra i 12 e i 14 anni e al 77% nel sud e nelle isole, ), più della droga (55%), del pericolo di subire una molestia da un adulto (44%) o del rischio di contrarre una malattia sessualmente trasmissibile (24%)”, prosegue il rapporto. Si ricorda come i primi contatti utili per combattere e, si auspica, sconfiggere, il fenomeno sono il Punto d’ascolto dell’Ufficio scolastico provinciale, la chat del Telefono Azzurro (www.azzurro.it) e la polizia postale.

Avv. Chiara Reposo

__________________________

Bullismo : profili di diritto comparato – Chiara Reposo – Francesco Reposo

Il fenomeno della violenza tra giovanissimi continua ad essere all’ordine del giorno. Sempre di più, il bullismo sta assumendo forme difficili da riconoscere e prevenire: da dimenticare l’immagine di un gruppo di delinquentelli che picchiano un ragazzo dopo la scuola. I bulli di oggi sono più portati a pronunciare frasi sottovoce, a lanciare sguardi attraverso l’aula, a rendere un ragazzo malvisto al tavolo della mensa o a fare danni via sms o Facebook. Le condotte di prevaricazione sono messe in atto dagli studenti più grandi e vi ‘è una tendenza ad un minore ricorso alla violenza fisica nelle classi scolastiche superiori rispetto a quelle inferiori. Il bullismo messo in atto attraverso l’uso di forza fisica è più frequente nei maschi, i quali sono maggiormente esposti al bullismo diretto rispetto alle femmine, soprattutto nelle classi della scuola media: tra costoro, per contro, si registra una maggiore esposizione a profili di bullismo indiretto, che si esprime in forme di isolamento sociale e di esclusione intenzionale dal gruppo dei pari, con modalità più subdole e indirette, come la calunnia, lo scherno, la maldicenza, il disturbo, la manipolazione e l’alterazione dei rapporti di amicizia (per es. riuscire ad allontanare una ragazza dalla sua migliore amica).
Inoltre i maschi sono in gran parte responsabili del bullismo rivolto alle femmine (più del 60% delle femmine prevaricate ha riportato di esserlo state dai maschi), mentre la maggioranza dei maschi (più dell’80%) ha riportato di essere stata vittimizzata principalmente dai maschi. L’incidenza maggiore si verifica nell’ambito scolastico; in questo contesto la dimensione delle scuole e delle classi non sembra avere influenza. Gli insegnanti tuttavia non sembrano dedicare la giusta attenzione al fenomeno né mettere in atto strategie di intervento diretto per contrastarlo, e sembrano trascurare i momenti della discussione con gli studenti. Per quanto riguarda le famiglie, risulta che i genitori delle vittime e, in particolare, quelli dei prevaricatori, generalmente non sono a conoscenza del problema, e di conseguenza ne parlano poco coi figli.

Diversi studi svedesi, americani e inglesi confermano che il comportamento aggressivo, così come la tendenza ad essere vittimizzato, sono caratteristiche individuali piuttosto stabili che possono durare a lungo, spesso diversi anni: gli studenti prevaricati per un certo periodo di tempo tendono a rimanerlo a lungo; allo stesso modo, gli studenti risultati aggressivi con i loro coetanei in un determinato periodo hanno mostrato la tendenza ad esserlo anche successivamente, a distanza di un certo arco di tempo.
I dati emersi dalle ricerche sembrano dimostrare che il comportamento aggressivo dei bulli verso i coetanei non sia da considerare come una conseguenza ed una reazione alle frustrazioni e ai fallimenti scolastici. Non necessariamente il prevaricatore è un ragazzo che attraversa esperienze di emarginazione sociale o vive in una situazione familiare problematica, che rientra cioè nella categoria del bambino “difficile”, ma spesso è un ragazzo normale che vive in una famiglia apparentemente regolare e senza problemi.
Cercando di delineare un profilo del prevaricatore e della vittima, le caratteristiche esteriori non sembrano avere influenza se non quella della forza fisica, che nei bulli è maggiore della media dei ragazzi e, in particolare, delle vittime, le quali invece sono solitamente più deboli dei ragazzi in generale. Queste caratteristiche personali possono giocare un ruolo di una certa importanza nelle forme più leggere di bullismo.

Le vittime sembrano soprattutto contraddistinguersi per essere solitamente più ansiose e insicure degli studenti in generale, e più spesso caute, sensibili e più calme, che in genere, se attaccate da altri compagni, reagiscono piangendo o chiudendosi in se stesse; soffrono di scarsa autostima e hanno un’opinione negativa di sé e della propria situazione; si sentono timide o poco attraenti, e vivono a scuola una situazione di solitudine e di abbandono.
E’ il tipo di vittima che viene definita passiva o sottomessa, il cui comportamento e atteggiamento segnala agli altri l’insicurezza e incapacità, nonché l’impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti. In altre parole è caratterizzato da un “modello reattivo ansioso o sottomesso, associato a debolezza fisica”.
Nello stesso tempo, l’attacco ripetuto da parte dei coetanei aumenta la sua ansia, insicurezza e valutazione negativa di sé: le vittime hanno spesso avuto nella prima infanzia, rispetto ai ragazzi in generale, rapporti più intimi e positivi con i loro genitori, in particolare con la madre, rapporto stretto che è talvolta percepito dagli insegnanti come espressione di iperprotezione ed è ipotizzabile che le tendenze verso l’iperprotezione siano allo stesso tempo una causa e una conseguenza del bullismo.
Un altro tipo di vittime, cosiddette “provocatrici”, sono caratterizzate da una combinazione di entrambi i modelli reattivi, quello ansioso e quello aggressivo: alcuni possono essere definiti iperattivi, o si comportano in modo tale da causare irritazione e tensione, e non di rado reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe.
I ragazzi prepotenti sono, invece, caratterizzati da un “modello reattivo aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica”: esprimono cioè notevole aggressività, verso i coetanei e spesso anche verso gli adulti, sia genitori che insegnanti; sono impulsivi, hanno un forte bisogno di dominare gli altri, mentre mostrano scarsa empatia nei confronti delle vittime; se maschi, tendono ad essere fisicamente più forti di altri maschi in generale e delle vittime in particolare; hanno spesso un’opinione relativamente positiva di se stessi, mostrano poca ansia e insicurezza ma presentano grosse difficoltà di comunicazione.
Vi sono, poi, i c.d. “bulli passivi, seguaci o sobillatori”, studenti, cioè, che partecipano al bullismo ma che abitualmente non prendono iniziative, e possono comprendere anche soggetti insicuri e ansiosi.
Le cause psicologiche che soggiacciono al comportamento del bullo sembrano essere: un forte bisogno di potere e dominio, per cui sembrano godere nel controllare e sottomettere gli altri; condizioni familiari sovente inadeguate, in cui possono avere sviluppato un certo grado di ostilità verso l’ambiente, e ciò può spiegare la soddisfazione provata nel provocare danno e sofferenza agli altri; ed una componente strumentale, per la quale i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro, sigarette o oggetti di valore.
Il bullismo può essere considerato come aspetto di un più generale comportamento antisociale, che si caratterizza per la mancanza di rispetto delle regole.

Gli stili educativi familiari e le condizioni che possono aver favorito durante l’infanzia lo sviluppo di tale modello, sono risultati un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte dei genitori ed in particolare della figura che principalmente si prende cura del bambino nei primi anni di età (in genere la madre); un atteggiamento educativo permissivo e tollerante, che non pone chiari limiti al comportamento aggressivo del bambino; l’uso coercitivo del “potere” da parte del genitore, in forma di punizioni fisiche e violente esplosioni emotive.
In sostanza poco amore, poca cura e troppa libertà nell’infanzia sembrano essere le condizioni che contribuiscono fortemente allo sviluppo di un modello aggressivo.
Vi sono poi spesso problemi familiari di fondo: rapporti conflittuali tra i genitori, divorzio, disturbi psichiatrici, alcolismo, tossicodipendenza, ecc.
La legislazione comunitaria in materia di tutela dei dati personali si applica anche agli atti di bullismo attraverso internet, telefono e ogni mezzo di comunicazione. In queste norme si prevedono sanzioni anche per gli atti che comportano il furto d’identità e atti persecutori.
Il Garante europeo della protezione dei dati personali ha sottolineato come tale normativa può essere efficacemente applicata per proteggere le persone dagli atti di cyberbullismo (1): il Parlamento e il Consiglio europeo hanno in programma entro la fine del 2014 la discussione di riforme della legislazione comunitaria al fine di ampliare la tutela per le vittime di persecuzione via internet e la Commissione Europea ha promosso accordi per il contrasto del bullismo con i principali provider di social network mondiali, fra cui “Facebook” e “Myspace”.
Infine, con il Programma dell’Unione Europea “Daphne” sono finanziate ogni anno azioni di contrasto alla violenza anche via internet nei confronti dei minori (2). Vediamo come le varie Legislazioni, europee, americana e giapponese, affrontano e regolamentano il fenomeno.

FRANCIA:
Il problema è considerato un’emergenza in Francia, dove già il Presidente Nicolas Sarkozy varò, nel corso del suo mandato, una serie di misure contro l’assenteismo degli studenti e la violenza nelle scuole, soprattutto nelle banlieue delle grandi città: a partire dal 2011, sono state create strutture per l’internamento scolastico destinate ad accogliere gli alunni più indisciplinati e difficili.
Si tratta di strutture di «tipo nuovo» il cui obiettivo è accogliere, per una durata di almeno un anno, venti o trenta alunni fra i 13 e i 16 anni che hanno la caratteristica comune di essere stati espulsi almeno una volta per decisione del consiglio disciplinare: si basano su una impostazione pedagocica che porrà l’accento sull’apprendimento delle regole, il rispetto dell’autorità, il piacere dello sforzo, riservando uno spazio importante allo sport tutti i pomeriggi e alla scoperta delle professioni.
Inoltre, è stata prevista la «sospensione immediata» degli assegni famigliari in caso di assenteismo scolastico, la creazione di appositi elenchi per schedare tutti gli alunni a rischio di abbandono scolastico e un accurato controllo sulla sicurezza di tutte le scuole del Paese.

INGHILTERRA:
Le ricerche condotte in Inghilterra dagli psicologi Whitney e Smith su 7000 studenti hanno rilevato che il 27% degli intervistati è stato oggetto di prepotenze da parte dei compagni di classe. Il Ministro dell’Istruzione è andato ben oltre questo ed ha conferito agli insegnanti dei veri e propri poteri speciali che si auspica possano porre un freno ad un fenomeno dilagante che miete sempre più vittime. Per contrastare bullismo e cyber-bullismo (riprese e ricatti a compagni attraverso strumenti tecnologici) i professori inglesi potranno, infatti, utilizzare la forza ed intervenire in caso di zuffe, perquisire gli studenti, obbligarli a passare il sabato sera a scuola anche senza l’autorizzazione delle famiglie nonchè sequestrare telefonini ed I-pod.
Era da tempo che il sindacato degli insegnanti chiedeva più poteri per imporre una disciplina che nelle classi britanniche è sempre più difficile avere: e se prima la parole d’ordine per gli studenti era “lei non può dirmi cosa devo fare” ora i professori hanno il potere legale di agire rapidamente e con decisione per far fronte non solo a comportamenti inappropriati ma anche istruzioni disattese.
L’ispettore che ha guidato l’ispezione nelle scuole, cioè, il consigliere del governo in materia di educazione, ha bocciato sonoramente il livello di disciplina nelle classi sottolineando che ogni giorno si perdono almeno cinquanta minuti di lezione per colpa della cattiva condotta di qualcuno.
Così le nuove linee guida del ministero incoraggiano i docenti a calcare la mano: per esempio, possono trattenere l’alunno in un’apposita aula-prigione anche oltre l’orario scolastico, previo avviso ai genitori con 24 ore di anticipo e se la detenzione non basta si arriva addirittura all’isolamento oppure al coprifuoco all’ora di pranzo: infine, può anche capitare che chi si comporta male venga costretto a frequentare la scuola nei giorni di vacanza. In casi gravi le scuole possono appellarsi al tribunale e chiedere che papà e mamma vengano messi sotto contratto: ciò significa che costoro devono frequentare corsi di parenting, per imparare a essere genitori migliori e se non si presentano vengono multati fino a mille sterline. E inoltre se un ragazzo sospeso viene beccato fuori casa senza giustificazione scritta scatta la sanzione da 50 a 100 sterline.
Finora la scuola si comportava come le banche della City: premiava chi stava buono. Ma comportarsi bene deve invece essere la norma. Molti istituti, infatti, adottano sistemi a premi, non tanto per gli alunni con più alto profitto scolastico ma per quelli che si comportano meglio: si possono vincere persino tv al plasma, iPod e console per videogiochi. Evidentemente, però, troppa carota e poco bastone non hanno funzionato.
In Gran Bretagna il bullismo è diventato un problema sociale, legato alla criminalità giovanile e all’uso ormai comune delle armi da taglio, diffuso anche tra i giovanissimi: molte scuole, soprattutto nelle periferie più degradate, hanno installato metal detector agli ingressi, e altre stanno assumendo esperti della sicurezza, come ex buttafuori o ex militari, per tenere a bada i ragazzi e per sedare eventuali risse anche fuori dalle pareti scolastiche.
L’Inghilterra non è l’unico paese che ha deciso un giro di vite contro gli studenti violenti ed indisciplinati:le misure inglesi arrivano dopo quelle che in U.S.A. sono state adottate in Texas, Stato in cui lo spintone di uno studente ad un bidello può costare anche 7 anni di carcere. In Inghilterra il bullismo tra giovani miete, purtroppo, un’altra vittima (3), l’ultima di una lunga serie, mentre in Italia una discussa sentenza la Cassazione ha stabilito che per i baby-bulli, in determinate situazioni, “il carcere è meglio della scuola”.
L’omicidio di Kiyan ha scosso l’opinione pubblica inglese, preoccupata dal dilagare di reati in cui vengono usati coltelli e dalla effettiva difficoltà delle forze di polizia di controllare il possesso di questo tipo di armi. Il tragico evento, che campeggia oggi sulle prime pagine dei maggiori quotidiani britannici, ha riaperto il dibattito sull’opportunità di una ‘amnistia dei coltelli’ e sulla questione della sicurezza nelle scuole.

GIAPPONE:
In Giappone il fenomeno appare ancora più grave, con conseguenze drammatiche rappresentate dal considerevole numero di suicidi di studenti al di sotto dei dieci anni travolti dalla disperazione a causa dello “ijime” (il corrispettivo giapponese del “bullying”). L’ijime è un fenomeno sociale giapponese grossomodo corrispondente a quello che in italiano viene chiamato bullismo nella forma specifica di ostracismo (bullismo ostracizzante o bullismo di esclusione).
Il termine è un sostantivo derivato dal verbo ijimeru (“tormentare”, “perseguitare”), ed è usato per identificare un particolare tipo di violenza scolastica. Si tratta di ijime quando un gruppo più o meno ampio di studenti identifica tra i compagni di classe un individuo solitamente incapace di reagire, e quindi lo sottopone sistematicamente a pratiche vessatorie e disumanizzanti per periodi prolungati di mesi, o anche anni, con il silenzio complice dell’intera classe, quando non degli insegnanti. Diversi casi hanno visto gli insegnanti stessi incoraggiare o partecipare all’ijime.
Per alcuni, il fenomeno dell’intolleranza e del bullismo ha lontane origini: nel periodo Edo, infatti, vi era la pratica del Mura-hachibu, che consisteva nel bandire dalla famiglia o dal villaggio coloro che non seguivano le regole e le tradizioni vigenti. La maggior parte dei giapponesi ama far parte di un gruppo in quanto, il senso di appartenenza crea armonia e amicizia: tuttavia, se si è diversi in qualche modo, se si è il più bravo della classe, se si è estremamente popolari, o se si ricevono premi a scuola, è probabile che si possa diventare vittime del bullismo.
La piaga del bullismo in Giappone arriva a toccare persino la sfera più alta della società, la famiglia imperiale, con la principessina Aiko (4) costretta, quando aveva 8 anni, per giorni a casa per sintomi psicosomatici riconducibili a episodi di violenza verificatisi a scuola. L’Agenzia della Casa imperiale ha riferito, in quella occasione che la principessina aveva passato quasi tutta la settimana lontana dalle lezioni, vittima di crampi allo stomaco e del persistente stato d’ansia, probabilmente causato dal “comportamento violento” di alcuni compagni di scuola su di lei e altre bambine.
E’, dunque, allarme rosso in Giappone per il fenomeno del bullismo scolastico sempre più dilagante: la piaga ha assunto risvolti drammatici avendo come conseguenza un gran numero di suicidi giovanili. Una ricerca condotta dall’università di Kyoto avrebbe evidenziato come oltre il 45% degli studenti delle scuole superiori nipponiche è stato protagonista di episodi di bullismo. Solo nell’ultimo anno sono stati ben tre i casi di ragazzi (5) tra i 12 e i 14 anni che si sono tolti la vita, e tutti e tre avevano subito violenze psicologiche in ambiente scolastico.
Il sondaggio, effettuato in collaborazione con alcune associazioni civiche, ha coperto un campione di circa 6.400 studenti che frequentano il secondo anno in istituti medi superiori, catalogando diverse tipologie di violenza psicologica e verbale. Ben il 45,7% dei ragazzi e il 46,6% delle ragazze hanno subito o inferto ad altri coetanei atti di bullismo. Le rilevazioni sono state fatte in forma anonima, e hanno interessato le scuole di tutto il territorio nazionale dall’isola settentrionale di Hokkaido a quella meridionale di Kyushu. Tra gli intervistati, il 55,6% dei maschi ha risposto di aver subito violenze fin dalle elementari, un dato che si spinge a 62,7% per le femmine.
Il fenomeno sarebbe maggiormente sviluppato tra i più giovani, infatti tende a diminuire sensibilmente con l’avanzare dell’età: nelle scuole superiori la percentuale scende a 38 per gli uomini e 29,5 per le donne. A confermare il dato, assai preoccupante, che le violenze sarebbero più diffuse tra i giovanissimi, anche la tendenza, emersa dalla ricerca, dei bambini delle scuole elementari a rendersi protagonisti di angherie psicologiche o verbali verso i coetanei. Negli istituti superiori, invece, sono in netto aumento i comportamenti minatori attraverso le nuove tecnologie, come e-mail e messaggi sul telefonino: in numerosissimi casi si assiste all’utilizzo del mezzo informatico per ritoccare fotografie con immagini imbarazzanti, pubblicate in seguito sui forum e siti web.

SPAGNA:
“Acoso escolar” – “Acoso” significa “assillo”, “inseguimento” – è il termine, in uso in Spagna, per rendere il concetto di persecuzione. Un codice di condotta scolastica, è stato approvato dalla Comunità Autonoma di Madrid, e darà maggiore autorità ai professori e ai presidi: questi potranno punire con più severità tutti i comportamenti di mobbing e violenza che siano lesivi dell’integrità e la dignità della persona.
Le nuove regole prevedono anche la proibizione dell’uso di qualsiasi apparecchio elettronico nelle classi (compresi i lettori mp3 e i videogame) che possa distrarre gli alunni, l’applicazione graduale di una serie di sanzioni, scelte di volta in volta sulla base della gravità dei fatti: le infrazioni più lievi potranno essere punite immediatamente da qualsiasi insegnante; per quelle più gravi è previsto come primo grado la sospensione del diritto ad assistere alle lezioni, poi il trasferimento ad altro istituto e, come pena massima, l’espulsione dell’alunno dal sistema scolastico regionale: una misura che intende far sì che siano gli aggressori e non gli aggrediti a dover cambiare scuola.

GERMANIA:
La giustizia tedesca, esasperata dal fenomeno in crescita esponenziale, ha inventato una nuova tipologia di condanna per tentare di recuperare i minori colpevoli di violenze, abusi sessuali o atti vandalici: “la lettura di un’opera letteraria”. I risultati si sono rivelati prodigiosi: piccoli delinquenti che prima della condanna non avevano mai aperto un libro si sono trasformati, attraverso la lettura di romanzi e poesie, in ragazzi modello. Si può a buon conto parlare di “Miracoli della letteratura”.
L’idea della lettura, come pena rieducativa, è venuta, nell’aprile del 2010, a un giudice del Tribunale minorile di Fulda, Christoph Mangelsdorf, dopo aver constatato l’inefficacia delle pene tradizionali che, in Germania, per reati non particolarmente gravi, consistono nell’assegnazione a lavori di utilità sociale – come fare le pulizie negli ospedali, spalare la neve o aiutare i netturbini-. Tutte pene, invero, si rivelavano inutili agli effetti del recupero: terminato il periodo di lavoro obbligato, il minore condannato riprendeva le vecchie abitudini. Rebus sic stantibuns, il fantasioso magistrato ha deciso di tentare un esperimento: niente lavori «umilianti» e «pesanti» ma obbligo di leggere, entro un certo numero di giorni, un romanzo appositamente scelto, discuterne quotidianamente il contenuto con un assistente sociale e al termine della lettura presentare per iscritto le sue riflessioni al giudice.
La prima cavia è stato un quindicenne colpevole di ripetute violenze sui compagni di scuola, condannato a leggere un romanzo di Jan Guillou, “Das Böse” (Il male), ambientato in un collegio dove i ragazzi più grandi commettono ogni genere di soprusi sui più piccoli, con conseguenze deleterie che marchieranno la vita adulta sia dei carnefici che delle loro vittime. Il minore forzato alla lettura del libro, ne è restato talmente colpito che, alla fine, invece di presentare al giudice le sue riflessioni in cinque cartelle, come ordinato, ne ha scritte ben tredici. Da allora il Tribunale di Fulda ha condannato alla lettura ben quindici ragazzi e i risultati sono stati talmente incoraggianti che altri Tribunali hanno deciso di seguirne l’esempio e i romanzi, ovviamente selezionati con criteri inerenti il reato, sono entrati nello strumentario della giustizia minorile tedesca. Non mancano criminologi e sociologi che propongono di estendere l’esperimento agli adulti: in questo caso potrebbe succedere che un terrorista sia condannato a leggere “I demoni” di Dostoevskij, o “Guerra e pace” di Tolstoi.

USA:
Una recente ricerca negli Stati Uniti e all’estero ha documentato che il bullismo è una forma comune e potenzialmente dannosa della violenza tra i bambini. Non solo il bullismo danneggia sia le vittime che gli autori, ma può anche influenzare il clima delle scuole e, indirettamente, la capacità di tutti gli studenti per imparare al meglio delle loro capacità. Inoltre, il legame tra il mobbing scolastico, delinquenza e il comportamento criminale non può essere ignorato. Stimolati dai lavori pionieristici di Dan Olweus in Norvegia e Svezia, i ricercatori di diverse nazioni – Australia, Canada, Inghilterra, Irlanda, Giappone, Norvegia e Stati Uniti – hanno cominciato ad esplorare la natura, la prevalenza, e gli effetti del mobbing tra i bambini della scuola. I loro risultati forniscono motivi validi per l’avvio di interventi per prevenire il bullismo. La sua elevata prevalenza tra i bambini, i suoi dannosi effetti duraturi (6) e, spesso, sulle vittime, e i suoi effetti sul clima agghiacciante a scuola sono motivi importanti per la prevenzione e le azioni di intervento precoce nelle scuole e nelle comunità.
Il fenomeno del bullismo merita un’attenzione particolare da parte di educatori, genitori e bambini interessati alla prevenzione della violenza per due motivi importanti:
● In primo luogo, la prevalenza del bullismo e dei danni che provoca sono gravemente sottovalutati da molti bambini e, soprattutto, dagli adulti. E’ fondamentale, quindi, una strategia di prevenzione della violenza, di lavoro per sensibilizzare i bambini, personale scolastico e genitori per quanto riguarda il legame fra il mobbing e altri comportamenti violenti.
● In secondo luogo, la natura del bullismo, non necessariamente si presta a interventi che possono ridurre efficacemente di altri tipi di conflitto tra i bambini. Si tratta di molestie da parte di bambini violenti nei confronti dei bambini inermi (piuttosto che di un conflitto tra coetanei di status relativamente uguale), sono necessarie strategie comuni di risoluzione dei conflitti, quali la mediazione, che, comunque, da sola, non può essere efficace.
Il bullismo è abbastanza comune nelle scuole degli Stati Uniti. In uno studio di 207 studenti delle scuole medie inferiori e superiori da piccole città del Midwest, l’88% hanno dichiarato di aver osservato il bullismo, e il 77% hanno dichiarato di aver subito richieste insistenti nel corso della loro carriera scolastica. Uno studio di 6.500 studenti di quarto grado sesto zone rurali del Sud ha dichiarato che 1 su 4 studenti era stato vittima di bullismo con una certa regolarità negli ultimi 3 mesi e che 1 persona su 10 era stato vittima di bullismo almeno una volta alla settimana. Circa un bambino su cinque ha ammesso di avere un altro bambino vittima di bullismo con una certa regolarità negli ultimi 3 mesi. Le cifre sono coerenti con le stime di diversi altri ricercatori. Inoltre, contrariamente alla credenza popolare, il bullismo si verifica più frequentemente per motivi scolastici che sulla strada da e per la scuola.
Negli Stati Uniti, il Massachusetts ha approvato quella che è stata definita la miglior legge antibullismo del Paese, i cui aspetti salienti possono essere così riassunti:
● chiede agli insegnanti e allo staff della scuola di riportare episodi di bullismo al proprio preside o a un amministratore scelto per gestire le segnalazioni.
● Richiede l’organizzazione di corsi per gli insegnanti e lo staff, ogni anno, sulla prevenzione e l’intervento.
● Dà istruzioni sul lasciare traccia nei curriculum dei professori dei loro interventi riusciti.
● A queste disposizioni se ne aggiunge un’altra solo apparentemente ovvia: sia gli adulti che gli studenti devono sapere a cosa stare attenti.
La legge si dedica quindi molto all’educazione degli insegnanti, che devono iniziare a comprendere e riconoscere una serie di comportamenti e segnali che non hanno fatto parte della loro crescita. La legge entra nello specifico, per quanto possibile, dei vari segnali da riconoscere. Una delle proposte da parte Repubblicana era di segnalare gli episodi di bullismo alla polizia.

 

Avv. Chiara Reposo e Dott. Francesco Reposo

_______________________________________

http://www.questionididirittodifamiglia.it

Informazioni sull’autore

Avv. Serena Reposo

Lasciare commenti