Trust e Fondo Patrimoniale
Rivista QdF – Questioni di Diritto di famiglia – Settembre 2014
QdF – Una rivista mensile di approfondimento dedicata al diritto di famiglia,dal quale estrapoliamo gli articoli redatti dal nostro staff di professionisti.
In questo numero : Dottrina
• Trust e fondo patrimoniale: istituti a tutela del patrimonio familiare – Francesco Reposo – Chiara Reposo
Trust e fondo patrimoniale : istituti a tutela del patrimonio familiare – Francesco Reposo – Chiara Reposo
La parola Trust, la cui traduzione dalla lingua inglese significa “affidamento”, rinvia al concetto giuridico di “fiducia” da cui trae le proprie origini questo innovativo strumento di pianificazione patrimoniale, conosciuto ed utilizzato in Italia, con le dovute cautele, da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1985 (art. 2 della L. 16.10.1989 n. 364, in vigore dal 1992), riconoscendo non solo la legittimità dei trust istituiti all’estero, ma anche l’istituzione in Italia (1), pure nel caso in cui tutti gli elementi (in particolare soggetti e beni) della fattispecie siano italiani. Per mezzo del trust un soggetto, detto Disponente, mediante “atto tra vivi” o “mortis causa”, affida e trasferisce in proprietà ad un altro soggetto di sua fiducia, detto trustee, uno o più beni, affinché il trustee ne assuma il controllo e li gestisca per le finalità stabilite dal Disponente e nell’interesse di uno o più Beneficiari, realizzando una netta separazione tra il patrimonio del Disponente (di colui, cioè, che dà vita al Trust stesso) e quello dell’effettivo Beneficiario e del Trustee, in deroga a quanto prescritto dall’art. 2740 c.c. in tema di responsabilità patrimoniale del debitore. Lo schema contrattuale tipico del Trust è il seguente: il settlor trasferisce i propri beni (beni mobili o immobili e tutti i diritti che appartengono a persone fisiche e/o a società quali, esemplificativamente, titolo di credito, conti bancari, somme di denaro, azioni, quote di società immobiliari, preziosi, opere d’arte, quote di fondi comuni d’investimento, autoveicoli, imbarcazioni ed arredi) ed istituisce il Trust, mediante atto ricevuto da Notaio nelle forme della scrittura privata autenticata od in quella, più solenne, dell’atto pubblico se trattasi di trust domestico, attribuendo la proprietà degli stessi al Trustee (2) (gestore), il quale, oltre a divenirne l’effettivo proprietario, assume funzioni di gestione. Il Trustee, a sua volta, dispone dei beni secondo le modalità individuate nell’atto di Trust, essendo, comunque, obbligato a gestirli nell’interesse dei Beneficiari od allo scopo predeterminato dal Disponente.
Il profilo peculiare e sostanziale che caratterizza questo paradigma giuridico è la piena segregazione ed il totale distacco del patrimonio conferito dalla sfera giuridica del Disponente, per passare in piena proprietà al Trustee, seppure a titolo fiduciario e nell’interesse del Beneficiario, con il logico corollario che il patrimonio costituito in Trust rimane estraneo ad eventuali pretese creditorie avanzate tanto dai creditori del Disponente, poichè il patrimonio non è più di sua proprietà, quanto dai creditori del Trustee, poichè il Trustee, seppure effettivo proprietario del patrimonio stesso, lo deterrà solo ed esclusivamente nella sua qualità di Trustee e mai a titolo personale; ed ancora dai creditori del Beneficiario, fino a quando questo ultimo non riceva i beni con successivo passaggio dal Trustee. Un ruolo importantissimo riveste la finalità del trust, ovvero la causa che sorregge il negozio:quest’ultima, infatti, ai sensi del secondo comma dell’art 1322 c.c. che consente l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di fattispecie contrattuali atipiche purchè non contra legem, non in spregio all’ordine pubblico o contrarie al buon costume, deve essere lecita e finalizzata al perseguimento di interessi meritevoli di tutela, atteso che, per assicurare il raggiungimento della stessa, l’ordinamento prevede, appunto, un effetto dirompente, la segregazione patrimoniale in ordine ai beni in trust rispetto al restante patrimonio del Trustee e, dunque, senza che vi sia confusione alcuna con gli altri suoi beni in considerazione del fatto che la proprietà del Trustee è svuotata da tutte le utilità che il bene può procurare al proprietario ed è finalizzata all’attuazione del programma stabilito dal Disponente.
Ne discende come il Trustee non possa avvantaggiarsi personalmente dell’essere proprietario dei beni in trust, non possa fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi, ma sia tenuto esclusivamente ad utilizzarli (gestirli, venderli, permutarli, ecc.) nell’interesse dei Beneficiari; inoltre, in caso di morte del Trustee, i beni in trust non cadranno nella di lui successione ereditaria, ma continueranno ad essere regolati dalle norme dell’atto istitutivo, passando in proprietà del Trustee successivo, qualora nominato; ed ancora tali beni, atteso il vincolo di destinazione cui sono sottoposti, risulteranno insensibili alle vicende personali che conducano al fallimento del Trustee o all’instaurazione di procedure esecutive o di azioni revocatorie nei suoi confronti. La Convenzione de L’Aja del 1985, come ratificata dal nostro ordinamento, ha attuato il riconoscimento del trust in Italia, senza che, tuttavia, mediante l’utilizzo del trust, possano essere violate o eluse norme e principi fondamentali ed inderogabili per l’ordinamento giuridico italiano quali le norme in materia di tutela dei legittimari, o di minori od incapaci e dei creditori in caso di insolvenza: se, infatti, esistono creditori del Disponente, anteriori alla destinazione in vincolo, che egli non ha soddisfatto o non ha intenzione di soddisfare, costui non potrà aggirare la disposizioni del Codice Civile segregando il suo patrimonio in trust, in quanto agli atti di dotazione del patrimonio di destinazione sono applicabili le norme sulla revocatoria ordinaria o fallimentare. Né il trust può servire per diseredare un figlio od il coniuge, in quanto l’ordinamento fa salve, anche in questo caso, a favore dei legittimari le relative azioni a tutela della loro posizione ereditaria. L’istituzione di un trust, istituto legittimo, riconosciuto ma non regolato dalla nostra legge, ha un senso ed un valore aggiunto quando serve per realizzare finalità meritevoli di tutela che non si sarebbero potute realizzare con altrettanta efficienza per mezzo degli istituti di diritto interno quali, ad esempio, la costituzione di un fondo patrimoniale regolato dagli articoli 167 e seguenti del codice civile di cui si riferirà in appresso.
Per prassi, il trust domestico (italiano), la cui legittimazione viene accolta, seppure con le dovute cautele, sulla scorta dell’introduzione dell’art. 2645 ter c.c. in tema di trascrizione dei vincoli di destinazione e sulla base di alcuni pronunciamenti giurisprudenziali, distingue l’atto istitutivo, che è un negozio giuridico unilaterale sottoscritto dal Disponente, contenente il “regolamento” del trust (scelta della legge, nomina dei soggetti, trustee, beneficiari, guardiano, enunciazione della finalità, poteri, ecc.) dai vari atti di dotazione del fondo in trust, tramite i quali il Disponente, membri della sua famiglia o anche soggetti terzi formano o incrementano il fondo in trust trasferendo beni al trustee. Questi atti seguono la forma prevista per la tipologia di beni che ne formano oggetto, tenendo in considerazione la finalità del trust e della relativa attribuzione (se liberale, come nella quasi totalità dei trust di famiglia, sarà necessario l’atto pubblico con i testimoni): gli atti di dotazione possono essere molteplici e susseguirsi anche a distanza di tempo uno dall’altro. Nel caso del trust c.d. auto dichiarato, il quale ultimo trova larga diffusione in Italia, non vi sarà negozio traslativo dei beni, in quanto le figure del disponente e del trustee coincidono, pur potendo tale negozio definirsi dispositivo in senso lato: il Settler, infatti, non attua alcun trasferimento ad un terzo soggetto, limitandosi semplicemente ad apporre un vincolo di destinazione su alcuni suoi beni, separandoli dal restante suo patrimonio con la evidente conseguenza che la segregazione opera all’interno del patrimonio del Disponente. Sempre con riferimento all’effetto segregativo il Tribunale di Bologna (3), citando autorevole dottrina, spiega il legittimo prodursi di tale effetto nel nostro ordinamento sulla base del fatto che gli artt. 2, 11 e 12 della Convenzione hanno in qualche modo introdotto una nuova forma di proprietà,caratterizzata dalla circostanza che la segregazione si verifica in quanto i beni conferiti in trust, in realtà, non entrano nel patrimonio del trustee se non al fine di realizzare lo scopo indicato nell’atto istitutivo e col vincolo di segregarli dal resto dei propri beni, e in mancanza verrebbe meno la stessa causa del trasferimento. Da qui le varie definizioni che si sono date di proprietà “qualificata”, “finalizzata”, o “condizionata”, per altro non nuove perché il nostro sistema prevede figure omologhe nell’art. 1707 c.c. in tema di mandato, nel fondo patrimoniale e nei nuovi patrimoni destinati a uno specifico affare di cui agli artt. 2447-bis e ss. c.c., assorbiti pienamente alla luce del già ricordato fenomeno del passaggio “dalla proprietà alle proprietà”.
I trusts possono, ancora, essere ontologicamente divisi in due macrocategorie, quelli di interesse familiare e quelli di interesse imprenditoriale o finanziario: i trust di famiglia (4), in Italia, rappresentano la species numericamente più ampia, ricomprendente quelli destinati ad assistere soggetti deboli (minorenni, incapaci), quelli volti alla costituzione di un fondo per i bisogni della famiglia coniugale o di fatto, quelli che preordinano una successione ereditaria, quelli istituiti per prevenire o risolvere il conflitto patrimoniale nella separazione e nel divorzio ed, infine, quelli che mirano a garantire l’adempimento delle obbligazioni di mantenimento di figli naturali riconosciuti e di conviventi non uniti in matrimonio. Tra i secondi, a titolo di esempio, si possono citare quelli preordinati alla gestione del passaggio generazionale nell’impresa di famiglia, quelli volti a garantire un prestito obbligazionario o alla prestazione di garanzie, quelli volti a garantire un prestito obbligazionario o alla prestazione di partecipazioni sociali, a regolare investimenti compiuti da più soggetti o patti di sindacato, ad evitare la crisi partecipazioni sociali, a regolare investimenti compiuti da più soggetti o patti di sindacato, ad evitare la crisi patti di sindacato, ad evitare la crisi dell’impresa, ecc. A supporto di quanto pocanzi espresso è sufficiente operare un breve raffronto tra il c.d. fondo patrimoniale (5) e il trust con funzione analoga: se è vero che con il fondo patrimoniale i coniugi possono destinare determinati beni ai bisogni della famiglia, tuttavia tale vicolo è soggetto ad una serie di limiti fortemente condizionanti ed incisivi. In primis, condicio sine qua non per la costituzione di un fondo patrimoniale, annoverata tra le convenzioni matrimoniali ed in quanto tale assoggettata ai limiti di forma imposti ed opponibile ai terzi in forza dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio e non della sola trascrizione dell’atto costitutivo, è l’esistenza di un rapporto di coniugio alla cui durata è connessa quella del fondo stesso, che cesserà di esistere a seguito di divorzio, annullamento degli effetti civili o morte di uno dei coniugi (salvi gli effetti a favore degli eventuali figli minori) (6), laddove il trust può essere istituito anche da non coniugi e dura fino al termine stabilito dal Disponente. La finalità del fondo è di destinare i beni, in esso inseriti, ai bisogni della famiglia: pertanto, il suo effetto principale è che, per legge, i beni che vi sono compresi (e i loro redditi) non possono essere aggrediti (cioè soggetti a esecuzione forzata) dai creditori sorti dopo la costituzione del fondo e purché i loro crediti riguardino obbligazioni per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Possono, poi, essere oggetto di fondo patrimoniale solo gli immobili, i mobili registrati (automezzi, imbarcazioni, aeromobili) e i titoli di credito nominativi (7), mentre nel trust possono confluire tutti i tipi di beni, mobili (anche il denaro), immobili, crediti, beni immateriali, senza limitazioni.
Il fondo patrimoniale può essere costituito sui beni di proprietà di uno solo dei coniugi o di entrambi e la sua costituzione non implica necessariamente il trasferimento dei beni, che restano intestati a chi ne era già proprietario, con la possibilità di ampliare il fondo, facendovi affluire ulteriori beni, con un nuovo atto notarile. Regole differenti rispetto al trust vengono previste per la gestione e l’amministrazioni dei beni costituiti in fondo patrimoniale: se da un lato, infatti, entrambi i coniugi possono disgiuntamente amministrare il fondo, secondo le regole della comunione legale, è però necessario il consenso di entrambi i coniugi perla vendita dei beni costituiti in fondo, anche se il proprietario è uno solo di essi; inoltre, se nella famiglia ci sono figli di minore età, la vendita dei beni compresi nel fondo deve essere autorizzata dal tribunale, a meno che venga inserita nell’atto costitutivo del fondo una clausola che consente di disporre dei beni senza bisogno dell’autorizzazione del tribunale, anche in presenza di figli minori. Nel trust, infatti, , i beni vincolati non sono alienabili se non secondo i limiti e per le finalità individuati nell’atto istitutivo dal settlor. Appare ictu oculi evidente come lo strumento del trust sia alquanto flessibile e duttile e possa essere utilizzato per finalità eterogenee, essendo strumento efficiente per la realizzazione dell’interesse meritevole di tutela che ne costituisce il fondamento: ciò anche in considerazione del fatto che non sono rinvenibili, ad oggi, nel nostro ordinamento giuridico altri istituti che permettano di conseguire, con altrettanta efficacia, le finalità del Disponente, soprattutto in materia di famiglia di fatto, o famiglia allargata, con figli nati da rapporti diversi, o in materia di protezione dei soggetti incapaci o diversamente abili.
Dott. Francesco Reposo e Avv. Chiara Reposo
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